Lasagna, vincisgrassi, pasticio, timballo e lagana
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L’italiano divide le sue giornate
in quattro porzioni di tempo equivalenti:
nella prima si impegna a cucinare,
nella seconda si dedica a mangiare,
nella seguente spende il suo tempo
a digerire ciò che ha appena mangiato
e nell’ultima trascorre le ore
a parlare di cosa gusterà il giorno dopo.
Marco Sadori
La storia delle lasagne è quantomai complessa, contraddistinta da una moltitudine di racconti che, come i molti strati di pasta sfoglia presenti nella sua ricetta, ne custodiscono la poliedrica identità in un sugo ricco di mistero e false leggende. Dobbiamo anzitutto abbandonare l’idea astratta di un’Italia divisa a tavola in due fazioni contrapposte, in un territorio delimitato al nord dal burro e in un’altra area contraddistinta a sud dall’olio. Un’Italia insomma, nella quale le lasagne (a base di pasta fresca all’uovo) sarebbero una primizia esclusiva dell’Emilia-Romagna, mentre nel meridione si preparerebbero soltanto piatti a base di pasta secca e conditi con olio extra vergine d’oliva. Questa Italia, sappiatelo se non ve lo ha mai detto nessuno, probabilmente non è mai esistita. E aggiungo: non è mai stato un reato cucinare a Napoli un piatto di scialatielli con un sugo di frutti di mare né tantomeno mangiarlo. Torneremo più avanti sulla tradizione campana di piatti come i timballi e i pasticci di pasta, quelli che in pratica sono i progenitori lontani di molte ricette emigrate anzitempo all’estero. Ricette clandestine e poi approdate in terre lontane, come nel caso del pastitsio in Grecia. Inoltre sarebbe sufficiente lasciare la Grecia e fare un salto a Cipro, per trovare i makaronia tou fornou, o i macarona bechamel in Egitto, la polish casserole in Polonia, il kugel nella cucina ebraica -con noodles di uova e patate-, consumato durante lo Shabbat e lo Yom Tov, gli spraetzle al forno in Germania e i makaroonilaatikko in Finlandia, uno dei piatti simboli della domenica.
Dopo questa breve panoramica tra i lontani parenti del timballo, ci converrà fare un passo indietro e andare a scomodare quella che, se non è possibile definirla “la madre di tutte le lasagne”, è però una sua antenata gastronomica, una sua bisnonna dalla cui progenie culinaria, sarebbe poi nata la lasagna odierna.
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Cibo tradizionale nell’antica Roma.
La vita è una combinazione di pasta e magia.
Federico Fellini
Nel De re coquinaria Apicio suggeriva la preparazione di una lagana, che andava cotta in forno intervallata a strati di carne. La stessa ‘sfoglia’, poteva anche essere usata per ricoprire o decorare dei tortini, un po’ come poi sarebbe diventata usanza, alcuni secoli dopo, per i timballi campani e siciliani. Ma già dal Medioevo vediamo che è costume diffuso lessare gli impasti di farina, come le lasagne, e utilizzarli per la preparazione di torte salate. Nel 1284 Fra Salimbene da Parma, per descrivere un frate senz’altro corpulento ci racconta: “non vidi mai nessuno che come lui si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio”. Questa testimonianza ci conferma l’esistenza e la diffusione di un piatto che ha già molto in comune con la futura lasagna, quella presente oggi nell’immaginario comune. Certo, al momento la ricetta ancora non prevede la presenza di pomodoro e besciamella, i due ambasciatori della lasagna odierna, che arriveranno secoli dopo. Tuttavia in quel periodo ricette di lasagne si diffondono in tutta Italia, e in special modo a Napoli -e non guarda un po’, in Emilia-Romagna-, dove. . .
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Questo testo è tratto dal libro sulla storia della cucina italiana in due volumi di prossima pubblicazione presso Leucotea editore.
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sfondo pagina: immagine di bimbimkha su Freepik
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